KAISEKI E YOSHOKU: TRADIZIONE E MODERNITÀ A CONFRONTO

La cucina giapponese, lo abbiamo già più volte ricordato, è fusione di cibo e natura, gusto ed estetica, unione virtuale e reale dei sensi. Non è ricercata ‘haute cuisine’, ma filosofia di vita: il Bello è naturale, la natura è intorno a noi, e di conseguenza mangiare diventa il mezzo attraverso cui noi e la natura entriamo in intimo contatto. La cucina, quindi, che celebra questo connubio, deve essere Bella, deve divenire un’Arte. La cucina kaiseki è la sintesi più alta e perfetta di questa filosofia e le sue origini sono ancora una volta da ricercare nel buddhismo Zen più antico.
La parola kaiseki può essere scritta con ideogrammi diversi e questo identifica due stili gastronomici lievemente differenti, almeno alle origini. Se si scrive 会席料理 si intende un tipo di banchetto conviviale costituito da più portate e servito secondo alcuni crismi convenzionali. Se si scrive 懐石料理 ci si riferisce invece al pasto frugale che i convenuti al “chanoyu”, la cerimonia del tè, consumano durante l’evento; infatti esso è noto anche come “cha kaiseki” 茶懐石. Il termine così coniato significa letteralmente “sasso in grembo” e trae origine dall’antica pratica dei monaci Zen, durante la meditazione e la cerimonia del tè, di calmare i morsi della fame tenendo premuto un grosso sasso molto caldo sul ventre. Il pasto che veniva servito, di conseguenza, era frugale proprio per non distogliere i monaci dalle loro pratiche meditative.

Ai giorni nostri la frugalità è rimasta soltanto nella quantità di cibo contenuto nelle singole portate, che invece risultano essere molto numerose! Esse devono innanzitutto ben combinarsi tra di loro: i sapori, l’aspetto curato fin nei minimi particolari, i colori, l’abbinamento a piatti, ciotole, ceramiche, porcellane, nulla viene lasciato al caso. L’accordo con la natura deve essere totale, quindi solo ingredienti di stagione freschissimi devono entrare a far parte del menu delle portate. Tutto viene poi guarnito con foglie, fiori, abbellimenti anche commestibili, ma rigorosamente ‘di stagione’.< br />Laddove il kaiseki delle origini comprendeva una zuppa di miso e tre sole portate successive, l’evoluzione “laica” che si è avuta in seguito ha visto il menu aumentare fino a 15 piatti, tutti contrassegnati da un nome ben definito. Anche la sua base prettamente vegetariana è stata progressivamente spostata verso una dieta più varia che si aprisse a comprendere pesce e, anche se più raramente, carne.

Tra le portate ne ricordiamo alcune:

  • Sakizuke, un antipasto
  • Hassun, a base di sushi, è il piatto che apre la serie stagionale delle portate
  • Mukozuke, a base di sashimi
  • Takiawase, piatto vegetale accompagnato da carne, pesce o tofu
  • Yakimono, pesce di stagione grigliato
  • Gohan, piatto di riso con aggiunta di ingredienti che variano a seconda della stagione
  • Mizumono, dessert di stagione, a base di frutta, gelato o dolce

La cucina kaiseki, che diviene costosa quando è servita in ristoranti di lusso, nella tradizione giapponese è tipica invece delle ryokan, gli alberghi tradizionali giapponesi generalmente adiacenti ai giardini termali. Kyoto è particolarmente nota per la sua cucina kaiseki, tanto che per sottolinearne l’esclusiva viene anche semplicemente chiamata “kyoryori” 京料理, cioè “Cucina di Kyoto”.
Accanto a questa cucina tradizionale in Giappone convivono altri stili gastonomici, ad esempio la cucina contemporanea giapponese, che dall’anima storica prende l’avvio per trasformarla secondo canoni di assoluta qualità più legati alla realtà odierna, così come succede anche nel resto del mondo.
Ma se la tradizione nella sua forma più antica ed elevata assurge ad espressione ricercata e ai ranghi dell’alta cucina, non va dimenticato che il Giappone ha anche guardato fuori da sé e dai propri confini per assorbire, rielaborare e sposare gusto autoctono e ricette d’oltremare, sia orientali, ma anche e soprattutto occidentali. Nasce così la cucina Yoshoku 洋食, che elabora ricette tradizionali con ingredienti o cotture stranieri e che oggi è una parte importante dell’offerta gastronomica nipponica quotidiana.
Essa venne introdotta durante la Restaurazione Meij (1867, quando cioè il potere shogunale fu definitivamente soppiantato e sostituito da quello imperiale, mai realmente tramontato), periodo in cui massima divenne l’attenzione del Giappone nei confronti di usi e costumi d’Occidente.

Il notevole cambiamento alimentare e gastronomico si ebbe soprattutto con l’eliminazione del divieto assoluto di mangiare carni rosse, che anzi vennero introdotte nella dieta giapponese perché riconosciute come la principale ragione della maggiore corpulenza e prestanza fisica degli occidentali.
Durante la ‘modernizzazione ’del paese la yoshoku era però prevalentemente vista come una cucina di lusso, in quanto la maggior parte degli ingredienti necessari era quasi completamente irreperibile per la gente comune ed il suo costo di conseguenza molto elevato. Nel secondo dopoguerra una maggiore disponibilità di risorse alimentari provenienti dall’estero la resero invece sempre più popolare, ed essa conquistò a poco a poco tutta la popolazione: appositi ristoranti, gli yoshokuya 洋食屋 aprirono un po’ ovunque, e la “contaminazione” occidentale entrò infine anche nelle case giapponesi, consacrandone così definitivamente il successo.
Pur se un ramo dello yoshoku rimane molto raffinato, essa comunque è soprattutto una cucina di tipo comune e giornaliero. I piatti yoshoku vengono generalmente scritti in katakana, ovvero con l’alfabeto sillabico utilizzato per i termini di origine straniera; vanno mangiati quindi con le nostre posate, sono accompagnati dal pane e, se dal riso, in questi casi non lo si chiama gohan, alla giapponese, ma raisu (da rice) e scritto in katakana. Per il Giapponese medio rappresenta una sorta di internazionalizzazione positiva dei propri costumi quotidiani, un avvicinamento ad una modalità di vita occidentale spesso percepita come evoluzione e progresso…

Esempi di yoshoku? Ve ne sono un’infinità: si va dal tonkatsu, la cotoletta impanata che si mangia assolutamente accompagnata dal riso ( e che è talmente “nipponica” oramai da ricevere l’onore di essere scritta in hiragana, cioè con l’alfabeto delle parole originali giapponesi), ai korokke, simili alle nostre crocchette di patate ma con aggiunta di carne o pesce al suo interno, al curry giapponese, agli hamburger (hambaagu).
Anche la cucina italiana viene ampiamente apprezzata ed interpretata nella yoshoku giapponese in modo totalmente rielaborato. Ad esempio diffusissimi, sia nelle trattorie che anche in confezione preconfezionata nei supermercati, sono i naporitan, i nostri spaghetti saltati in padella con aggiunta di ketchup, cipolla, funghi ed altri ingredienti a scelta.
Persino nelle portate di sushi, la tradizione culinaria giapponese per eccellenza, occhieggia qualcosa di “contaminato”: stiamo parlando dei California maki, i rotolini di riso con aggiunta di surimi, avocado e maionese. Ma questi sono solo degli esempi, la lista è ben più lunga e spesso, agli occhi di un Occidentale, non così chiaramente distinguibile da piatti giapponesi più tradizionali. A voi il piacere quindi di scoprire gli altri innumerevoli piatti “esotici”, oramai parte integrante della tradizione culinaria moderna di questo Paese, che non finisce mai di stupirci per la sapienza con cui riesce a mescolare, fondere e reiventare sé stesso continuamente, anche in cucina!

Loredana Marmorale

fotografie tratte da: kikuyoshi.co.jpkyotofoodie.comelokisnanda.blogspot.com1tess.wordpress.comradiusedcorner.blogspot.com