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POPOROYA

Il primo sushi bar a Milano

Chef e Titolare:

Hirazawa Minoru detto Shiro

POPOROYA

Sushi Ya con possibilità di piatti cotti – Cucina tradizionale giapponese
NON SI ACCETTANO PRENOTAZIONI

Da non perdere:

  • Chirashi: ciotola di riso con filetti di pesce sopra
  • Unajiu: anguilla alla griglia con salsa su riso
  • Nabeyaki: udon pasta udon in pentola con verdura e frutti di mare
  • Sashimi: moriawase filetti di pesce crudo assortiti

Poporoya

Via Eustachi, 17
20129 Milano
Tel. 02 2940 6797
Orari negozio 9.30 – 14.00 / 17.30 – 21.30
Orari ristorante 11.30 – 14.00 / 18.00 – 21.30
Chiuso la domenica ed il lunedì a pranzo
[email protected]
www.poporoyamilano.com


RISTORANTE POPOROYA

Non si può descrivere il Poporoya e coglierne la vera essenza senza accennare alla pionieristica storia del suo fondatore e proprietario: il signor Minoru Hirazawa, detto Shiro, artefice ed anima pulsante non solo del suo locale ma dell’intera storia della ristorazione giapponese in Italia, tanto da essere ritratto dal fotografo Giancarlo Mecarelli tra i grandi personaggi che popolano il suo libro City Angels.
Shiro è un ragazzino già appassionato di gastronomia quando in Giappone lavora in diversi ristoranti e si iscrive alla famosa scuola di cucina giapponese del professor Sizuo Tsuji, un mito della cultura gastronomica nel suo Paese. L’allievo brilla talmente che il maestro, sapiente estimatore della cucina italiana, gli propone una sfida: trasferirsi in Italia e cercare di appassionare alla cucina giapponese una popolazione profondamente legata alle proprie, fortissime tradizioni nazionali. Detto fatto: il giovane signor Shiro nel 1972, a ventisei anni, approda a a Roma, dove il ristrante Tokio, il primo ristorante giapponese presente in Italia, cerca un cuoco esperto in sushi.
Il problema più grande che si trova ad affrontare sono le materie prime giapponesi, in particolare il riso, allora irreperibili in Italia. Il giovane chef ci si dedica con pazienza ed acume e negli anni riesce addirittura ad organizzare, insieme con il titolare del ristorante Tokio, una selezione di riso giapponese adatta alla coltura nel Vercellese, una coltivazione di daikon ed altri vegetali nippnici ed anche una produzione italiana dei più tipici ingredienti giapponesi come tofu e miso, importando i macchinari dal Giappone, studiandone il funzionamento ed impiantando con essi una fabbrica fuori Roma.
La cucina giapponese a quel punto è pronta ad espandersi in Italia, così nel ’77 il signor Shiro arriva a Milano, inizialmente con un negozio di prodotti giapponesi e cibo da asporto poi, finalmente ottenute le opportune licenze, nel 1989 con un vero e proprio sushi-ya, cioè un sushi bar, il primo in assoluto in Italia, che battezza Poporoya, nome dalla storia singolare…

Quando nel lontano 1583 i missionari Gesuiti riuscirono a convertire alcuni nobili feudatari giapponesi, questi mandarono una delegazione a far visita al papa Gregorio XIII. La leggenda narra che, una volta sbarcati dalle navi, i rappresentanti di Cipangu (come Marco Polo aveva denominato il Giappone di allora) si fermarono in piazza del Popolo per cambiarsi d’abito, allestire un maestoso corteo ed entrare nella capitale in pompa magna. Questo episodio storico colpisce molto il signor Shiro, che in omaggio al primo incontro tra Giappone ed Italia decide di chiamare il suo locale Poporoya, nome composto da una parola italiana (“popolo” pronunciato alla giapponese) e da una giapponese, con il significato finale di “casa del popolo”.
Il nome è sapientemente legato anche alla scelta dell’impostazione del locale. Esistono, in Giappone come in Italia, molti livelli diversi di ristorazione: mentre i locali giapponesi in Italia tendono a proporsi ad una fascia medio-alta di clientela, il signor Shiro ha preferito rivolgersi alle persone comuni, che pranzano fuori casa per necessità ed hanno interesse in un prodotto di ottima qualità e dal sapore distintivo ma servito velocemente ed a costi non proibitivi.
Memore delle sue esperienze lavorative nel Paese natale, in cui ebbe occasione di lavorare in locande di campagna come in raffinati ristoranti in centro città, anche la selezione degli ingredienti e dei condimenti mira ad un’armonia finale più diretta ed immediata rispetto alla media dei sapori conosciuti in Italia. Ad esempio chi lavora ha bisogno di sali minerali, dunque il suo riso è leggermente più saporito della media, dopo una mattinata impegnativa si è affamati e si gradiscono porzioni un pochino più abbondanti, quindi le sue palline di riso non sono minute e le fettine di pesce del sashimi sono decisamente spesse…
Il menù del Poporoya naturalmente punta in prevalenza sushi e sashimi, vera passione dello chef, nonostante si possano assaggiare anche ottimi tenpura e yakitori ed ogni giorno dalla cucina venga proposto un piatto diverso, in base a ciò che offrono il mercato e la stagione.Una cura particolare è riservata al tè da parte della signora Mami, la figlia del titolare che si occupa con cortesia ed efficienza della sala. Si serve prevalentemente hojicha, un tè tostato con bassissimo contenuto di caffeina che tradizionalmente si usa in Giappone durante il pranzo ed al termine della cena. Su richiesta è possibile gustare anche il classico tè verde sencha, anche se non è sempre disponibile perchè per evitare un gusto troppo amaro viene preparato in dosi limitate e con una lentissima infusione a freddo che dura notti intere.

Nulla è casuale nella cucina del signor Shiro (si dice sia uno dei migliori esperti di pesce della città!) ed una volta assaggiato il suo sushi anche il palato di un profano coglie immediatamente la differenza tra quello che dovrebbe essere un autentico sapore giapponese ed i tristi tentativi di tanti locali nati recentemente solo per moda o da cuochi privi dell’opportuna formazione. Le preparazioni al Poporoya seguono invece lo stile sushi genuino delle antiche trattorie, lasciando le contaminazioni “fashion” a chi non ha sufficiente conoscenza della vastissima tradizione giapponese per poterne attingere varianti sempre diverse e, agli occhi di un occidentale, perfino sorprendenti.
Ogni vero specialista del sushi come il signor Shiro, inoltre, condisce i propri bocconi con cordialità ed interesse nei confronti del cliente, tanto è vero che molti sono gli aficionados che tornano al locale anche più volte a settimana, nonostante il servizio debba essere veloce ed il sig. Shiro abbia oramai poco tempo per parlare. Se si capita però in uno dei rari momenti di calma è possibile farsi raccontare con orgoglio da lui la storia del noren (la tenda) che incornicia il bancone, quella del manuale da lui compilato per i primi clienti italiani inesperti di cibo giapponese, o quella del meraviglioso e preziosissimo tonno la cui fotografia campeggia sopra gli scaffali del negozio.
Il ristorante non è molto grande proprio perchè il numero dei coperti, una quindicina, deve essere tarato sul lavoro dello chef. E sono le pareti stesse del locale a raccontarne la storia ad uno spettatore attento: lo spazio un pochino limitato della sala deriva ad esempio dal fatto che bancone e tavolini hanno “invaso” parte dell’originario ed ancora annesso negozio di alimentari. La vicinanza dei tavolini però favorisce la conoscenza, tanto è vero che diversi amori sono sbocciati nel locale: il signor Shiro racconta di coppie conosciutesi anni fa proprio così, che si sono poi sposate e continuano a frequentare il ristorante con i figli…

L’atmosfera familiare è sottolineata dalla rustica pannellatura in legno, tipica delle trattorie giapponesi, e dalla copertura delle vetrine con larta di riso, ma la semplicità degli arredi non deve trarre in inganno: la sapienza del cuoco è testimoniata dalle decine di diplomi ed attestati appesi alle pareti, tra cui va menzionata l’autorizzazione alla preparazione del celeberrimo pesce fugu, in Italia purtroppo non disponibile, di cui quindi ci si deve limitare ad ammirare l’esemplare appeso sopra il bancone…
Riconoscimenti di stima e professionalità sono raccontati anche dalla tavoletta appesa all’ingresso della sala che riporta l’appartenenza all’Associazione Giapponese Cuochi di Sushi, l’esposizione di libri di cui il signor Shiro è autore, le innumerevoli citazioni in articoli riguardanti la cultura giapponese in Italia, la preziosa targa laccata di buon augurio ricevuta in dono dal suo ex titolare di Roma quando decise di mettersi in proprio.
La migliore testimonianza dell’evidente amore del signor Minoru Hirazawa nei confronti della cucina nipponica, però, in realtà sta nel numero sempre crescente di clienti che hanno imparato da lui ad apprezzare il cibo giapponese ed affollano ogni giorno il suo locale. E sta nel soprannome stesso con cui ha fatto breccia nel cuore degli Italiani: ‘Shiro’ in Giapponese significa ‘bianco’, come la luce dell’angelo che illumina i sogni del domani… “E come la giacca da cuoco!”, aggiunge lui sorridendo…

(testo di Annalena De Bortoli)