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Preparazione del wasabi fresco: dal rizoma al piatto

Come gestire e grattugiare correttamente il wasabi fresco per ottenere la massima qualità

Nel mondo del sushi d’eccellenza, anche il più piccolo dettaglio ha un impatto profondo. Il wasabi, spesso relegato a semplice spezia piccante da banco del supermercato, è in realtà una delle gemme più preziose della cucina giapponese. Quando fresco, grattugiato al momento, il hon-wasabi (本わさび) rivela un profilo aromatico elegante, erbaceo e leggermente dolce, molto lontano dalla nota pungente e aggressiva delle comuni paste industriali.

Sapere come trattare correttamente il wasabi fresco è un segno distintivo di maestria e rispetto per la tradizione.

Il rizoma di wasabi: un ingrediente raro e raffinato

Il wasabi (Wasabia japonica) è una pianta difficile da coltivare, che richiede acque sorgive pure, temperatura costante e ombra parziale. Cresce lentamente e sviluppa il suo rizoma — la parte utilizzata in cucina — nel corso di 18-24 mesi.

Piante di wasabi, se ne usano anche le foglie

Il suo sapore non è solo piccante: è complesso, vegetale, quasi balsamico, con un finale aromatico che svanisce in pochi minuti. Ed è proprio per questo che il wasabi fresco va grattugiato all’ultimo momento.

La scelta del rizoma

Non tutti i rizomi sono uguali. Quando si sceglie un rizoma di qualità:

  • Aspetto: deve essere compatto, senza ammaccature, con una superficie verde brillante e leggermente nodosa.
  • Tocco: deve risultare sodo ma non troppo rigido.
  • Profumo: fresco, verde, quasi mentolato, mai amaro o pungente.

Un rizoma appena raccolto può essere conservato in frigorifero, avvolto in un panno umido, per circa una settimana. Alcuni chef lo immergono parzialmente in acqua fresca, cambiandola ogni giorno, per mantenerne intatta la freschezza.

L’arte del grattugiare: l’oroshigane

Per ottenere la consistenza perfetta e liberare al massimo i composti aromatici del wasabi, serve lo strumento giusto. L’ideale è una grattugia tradizionale in pelle di squalo, chiamata oroshigane (卸し金).

  • Grattugiare con movimenti circolari e costanti, creando una pasta cremosa.
  • Non strofinare avanti e indietro: il calore e la pressione eccessiva possono alterare l’aroma.
  • Dopo aver grattugiato, si lascia riposare la pasta per circa 1 minuto: è in questo breve lasso di tempo che il wasabi raggiunge il suo picco aromatico.

Questa piccola pasticella verde chiaro non dovrebbe mai essere ammassata: meglio formare un ciuffo ordinato, o adagiarla con grazia sul piatto.

Come servire e abbinare il wasabi fresco

Nel sushi tradizionale, il wasabi non è mai protagonista. È un legame invisibile tra il riso e il pesce, un ponte di calore e freschezza che deve esaltare — non coprire — i sapori.

  • Nei nigiri, viene spesso messo tra il pesce e il riso, in quantità minima.
  • In abbinamento con carni grasse come il toro (ventresca di tonno) o l’anguilla, il wasabi aiuta a bilanciare il sapore.
  • Alcuni chef lo usano come finitura, accompagnando la fettina di pesce con una leggera pennellata di wasabi appena grattugiato, al posto della classica soia.

Importante: mai mescolare il wasabi fresco nella salsa di soia. Questo gesto, comune ma errato, ne altera completamente il profilo aromatico e spegne la sua complessità.

Un segreto vegetale che parla di rispetto e precisione

La presenza di wasabi fresco in un piatto di sushi non è solo un segno di autenticità, ma un indicatore del livello tecnico dell’itamae. Non è solo questione di ingredienti, ma di tempo, gesto e intenzione.

Chi sa trattare con rispetto il rizoma di wasabi dimostra di comprendere uno dei principi fondamentali della cucina giapponese: esaltare la purezza senza stravolgerla.

Quando il fresco non c’è: il valore delle alternative di qualità

Quando il rizoma fresco non è disponibile, anche il wasabi giapponese in polvere o in pasta di alta qualità può rappresentare una validissima alternativa, a patto che venga utilizzato correttamente: dosato con misura, idratato al momento e mai confuso con le paste economiche che contengono solo rafano e coloranti.

Prodotti realizzati con vero hon-wasabi essiccato e macinato conservano buona parte del profilo aromatico originario — fresco, erbaceo e delicatamente piccante — e, se riattivati con cura, possono accompagnare il sushi in modo armonioso, offrendo un’esperienza autentica anche in assenza del rizoma fresco.

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CORSO DI SUSHI 5: CONDIRE ED ACCOMPAGNARE IL SUSHI

Quando si ordina un piatto di sushi al ristorante ci si vede portare, solitamente, anche una ciotolina di salsa di soia, il gari, fettine di zenzero sott’aceto e una pallina di wasabi, una pasta di rafano verde giapponese particolarmente piccante. Ognuno di questi ingredienti ha una sua specifica funzione nell’accompagnare ed aromatizzare il sushi, anche se ogni bocconcino, espressione di un diverso abbinamento tra riso e pesce, ha in realtà differenti livelli di completamento.
Alcuni tipi di sushi, ad esempio, non hanno bisogno di essere insaporiti con la salsa di soia, come quelli che prevedono ingredienti già cucinati tipo il gronco (unagi), alcune conchiglie o le seppie cotte. Anche i dadini di frittata tamagoyaki, o i kanpyo maki, rotolini che contengono strisce di una verdura essiccata simile alla zucca, di solito non vengono intinti nella salsa di soia, così come in generale gli involtini grossi futo-maki ed in specifico i date-maki, futo-maki avvolti non da alga nori ma da frittata, oppure i sushi “pressati”, ovvero compattati non a mano ma servendosi di una scatoletta di legno, come i boo-sushi e gli hako-sushi.

Infatti di solito i futo-maki ed i sushi pressati sono specialità che caratterizzano il menù tipico di ogni ristorante, come esaltazione dello stile personale dello chef itamae, e che dunque andrebbero degustate “in purezza”. Lo stesso vale per quei nigiri e quei maki che lo chef prepara appositamente per il cliente seduto di fronte a lui al banco del sushi e che spesso condisce personalmente, con sale, limone, salsa di soja, zenzero grattugiato od altre salse di sua invenzione, prima di porgere il bocconcino al cliente. In caso di dubbio comunque lo chef apprezzerà la richiesta di chiarimenti e di istruzioni su come condire e consumare il sushi, ritenendola un forma di cortesia, interesse e rispetto da parte de cliente.

Altro discorso vale per quei sushi che ben accolgono l’aroma della salsa di soia ma che per la loro forma o decorazione risulta difficile intingere nella ciotolina della salsa. E’ il caso dei gunkan-maki, i bocconcini di riso avvolti in alga nori il cui ripieno viene adagiato in bella vista sopra il riso, oppure per tutti quei nigiri sushi il cui pesce viene decorato appoggiandovi sopra un pochino di zenzero grattugiato, di cipollotto tritato e così via. In questi casi ci si può servire del gari, lo zenzero sott’aceto sempre presente in un piatto di sushi per “pulire la bocca” tra un boccone e l’altro dall’aroma del pesce precedente. Una fettina di gari intinta nella salsa di soia e poi spennellata sul bocconcino di sushi permette di condirlo con la giusta dose di salsa senza comprometterne la costruzione o rovinarne il decoro.

La quantità di wasabi corretta per ogni tipo di sushi è già calibrata da ogni bravo itamae e dunque teoricamente già contenuta in ogni bocconcino nella dose più adeguata. Ma si sa che in Occidente l’apprezzamento di questo aroma particolarmente pungente va a gusto, per questo si tende ad usarne davvero pochissimo in fase di preparazione ed a servire una piccola quantità di wasabi a parte, in modo che ognuno si regoli a piacere. Quando si diventa frequentatori abituali l’itamae conosce le preferenze di ciascun cliente e non ha più bisogno di questo accorgimento. Se si preferisce comunque dosare personalmente il wasabi per il proprio sushi, l’ideale è prenderne una modica quantità in punta di bacchette e scioglierlo nella ciotolina di salsa di soia.

Il tè verde viene spesso servito in accompagnamento al sushi con lo stesso scopo dello zenzero marinato, quello di contribuire ad eliminare dalla bocca il sapore del pesce precedenteprima di assaggiare quello successivo. Ma per questo stesso motivo, ovvero per lasciare il palato senza alcun retrogusto, l’aroma del tè non deve essere troppo carico; tra tutti si preferisce quindi servire il bancha, una tipologia di tè relativamente poco profumata e l’utilizzo di tè in polvere invece che in foglie permette di controllare l’intensità dell’infusione con maggiore precisione.

Annalena De Bortoli