DUE CHEF GIAPPONESI A CONFRONTO, TRA ALTA TRADIZIONE E CREATIVA INNOVAZIONE

L’edizione 2011 di Taste of Milano conclusasi da poco ha visto protagonisti, insieme ai più bei nomi italiani della ristorazione milanese d’eccellenza, anche due ristoranti appartenenti all’Associazione Italiana Ristoratori Giapponesi, il ristorante Osaka di corso Garibaldi ed il ristorante Finger’s di via San Gerolamo Emiliani.
Il successo dei ristoranti giapponesi, decretato dalla grande affluenza del pubblico milanese ai due stand presenti alla manifestazione e dall’apprezzamento più volte espresso per i piatti proposti da ciascuno dei due ristoranti, è senza dubbio dovuto anche all’eccellenza dell’opera degli chef responsabili della cucina dei due ristoranti. Così abbiamo pensato che valesse la pena di conoscerli meglio.

Roberto Okabe, chef e patron del ristorante Finger’s, ha poco bisogno di presentazioni: è molto noto al pubblico per la sua cucina giapponese creativa di ispirazione brasiliana ed internazionale, vera nota distintiva del suo locale. Il suo carattere aperto e comunicativo lo porta spesso anche in sala a contatto diretto con la clientela, che è quindi piacevolmente abituata ad un confronto diretto con lo chef.
Diverso il caso invece di Ninomiya Yoshikazu, chef pienamente giapponese sia nello stile di cucina che nella riservatezza del suo rapporto con il pubblico. Chiamato a Milano dalla titolare del ristorante Osaka sig.ra Aoki, è uno dei pochissimi chef presenti in Italia specializzati nella raffinatissima cucina tradizionale kaiseki. Conosce poche parole in italiano ma i suoi piatti parlano per lui: composizioni eleganti, sapori delicatissimi e perfettamente armonizzati, il tocco personale di una mano felice che sa rendere speciale ogni singolo piatto.

Ad entrambi abbiamo chiesto quale sia il senso profondo del cucinare e quali elementi stiano alla base delle loro personali scelte gastronomiche. Ne esce un parallelismo curioso, che sorprenderà che si aspetta profonde differenze tra i due chef. Le differenze ci sono certamente, ed evidenti, sia nel percorso formativo che nello stile culinario creato da ognuno, ma le motivazioni e le passioni sono incredibilmente simili.
Lo chef Ninomiya Yoshikazu, che si è approcciato alla cucina con curiosità già in famiglia da bambino, ha poi seguito le orme e gli insegnamenti di grandi maestri giapponesi di cucina kaiseki, cominciando a lavorare sotto la loro guida già a diciassette anni ed arrivando in Italia solo di recente. Ligio alla tradizione, ricrea nella presentazione dei piatti l’atmosfera della stagione corrente scegliendo sempre ingredienti freschi del momento e trattandoli con grande personalità. E’ suo parere infatti che tutti possano cucinare tutto, ma è il tocco personale che ci mette ognuno di noi a rendere qualsiasi ricetta “d’autore” in quanto il sapore che sappiamo creare è assolutamente unico anche quando si ha a che fare con una ricetta pienamente di tradizione.
Per Roberto Okabe invece, nato in Brasile, formatosi professionalmente in Giappone ed approdato in Italia nel ’97, la creatività sta nel fondere esperienze diverse, accogliendo le suggestioni gastronomiche di ogni cultura per coglierne le assonanze segrete, le similarità e le armonie, trasformandole così in qualcosa che prima non c’era, appartenente a mondi differenti ed insieme ad un nuovo modo gastronomico, quello appunto, per sua definizione, della “cucina giapponese creativa”.

Secondo lo chef del ristorante Osaka è importante che il pubblico italiano possa imparare ad apprezzare la cucina kaiseki, profondamente rappresentativa della concezione giapponese del rapporto con il cibo. Tra l’altro il primo approccio è facilitato dal fatto che nei dettami kaiseki la cucina è intrisa di profumi e sapori della stagione e le varie portate vengono servite una dopo l’altra, non tutte assieme come solitamente avviene in un menù giapponese, e possono essere dunque assaporate come le pagine di un racconto, come i passi di un percorso di piacere e di conoscenza.
Per lo chef di Finger’s invece ogni piatto è protagonista, denso di sapori, di significati e di rimandi, competo proprio nel suo raccontare anche molto altro da sé. Ma, come il suo collega, resta alla base di tutto l’estrema importanza della freschezza degli ingredienti, della tecnica di lavorazione e della cura nei dettagli. Insomma, quella che costituisce la “giapponesità” dei suoi piatti anche paradossalmente in assenza di ingredienti tipicamente nipponici.
Ed ecco la sorpresa finale: alla domanda su quale fosse il motivo per cui hanno partecipato a Taste of Milano e con che criteri hanno scelto i tre piatti da presentare, dalle loro risposte è emersa una interessantissima similitudine…

Allo chef Ninomiya Yoshikazu interessava riuscire a raccontare al pubblico italiano quella parte della cucina giapponese meno conosciuta ma forse ancora più rappresentativa del Giappone rispetto ai famosissimi sushi e tenpura, con lo scopo di fare cultura del cibo ma anche di mostrare ad un numero elevato di persone la sua specifica interpretazione della cucina giapponese.
Ha scelto dunque piatti tradizionali ma li ha rielaborati, perché sorprendessero sia chi si avvicinava alla cucina giapponese per la prima volta sia che ne aveva già esperienza. Ha presentato insomma un assaggio di una possibile nuova espressione di cucina kaiseki contemporanea ed ha rivelato che l’incontro con altri famosi chef italiani in occasione di Taste potrebbe forse anche ispirargli un ulteriore approfondimento per la creazione piatti di fusione delle profonde culture italiana e giapponese.
Ed ecco che questa ispirazione incontra pienamente la visione dello chef Roberto Okabe, che ha vissuto Taste of Milano proprio come un’occasione di incontro e di scambio con i migliori chef italiani operanti su Milano e che, abituato a fare della contaminazione il suo stile di lavoro, ha infine scelto di presentare a Taste of Milano dei piatti di sapientissima tecnica classica giapponese… compresa una proposta di sushi.
Entrambi gli chef insomma hanno avuto la soddisfazione di confrontarsi con la cucina italiana di altissimo livello uscendone entrambi arricchiti, con la voglia di continuare a migliorare nel proprio operato e con la certezza che, ciascuno con il proprio stile, anch’essi rappresentano pienamente da tempo due punti di riferimento nella ristorazione milanese di eccellenza.

Annalena De Bortoli