IL GIAPPONE E LA CULTURA (O IL CULTO) DEL PESCE

Tonno, pagello, salmone, anguilla, polpo, sgombro, gamberi, merluzzo, sino al temibile fugu, o pesce palla: i giapponesi in cucina mangiano qualsiasi tipo di pesce, ed anzi, ne valorizzano una specie piuttosto che un’altra a seconda delle stagioni. Lo mangiano crudo, bollito, fritto, grigliato: il pesce non fa parte semplicemente della cucina giapponese, E’ la cucina giapponese.
Il Giappone, con la sua particolare conformazione geografica e la sua composizione in 4 isole principali e migliaia di piccole isolette, ha naturalmente sviluppato sin dalle origini una cultura economica basata quasi esclusivamente sulla pesca. Il mare che lo bagna è innanzitutto molto pescoso, e ciò lo si deve a due particolari correnti marine, una calda meridionale, Kuroshio, ed una fredda settentrionale, Oyashio. Questi fattori climatici ed ambientali assai favorevoli, uniti alla impossibilità geografica di poter sostenere un’economia alimentare basata su allevamenti intensivi, hanno dato all’attività ittica nipponica e alla sua conseguente gastronomia l’impulso principale.
Ulteriore stimolo alla cultura culinaria basata sulla pesca fu dato poi a partire dal VII secolo dal Buddhismo, introdotto dalla Cina. La filosofia alimentare buddista, diffusasi prevalentemente tra gli esponenti dell’aristocrazia e dei guerrieri, ridusse tra questi, fin quasi ad azzerarlo completamente, il consumo già esiguo di carne, partendo dall’assunto che fosse violenza uccidere un animale. L’utilizzo a scopi alimentari di bovini, cavalli, cani, scimmie e polli venne progressivamente ridotto, fino ad essere proibito dall’ imperatore Tenmu nel 675.Nei secoli successivi, in particolare a partire dall’Epoca Heian, precisamente nel regolamento del 927, veniva dichiarato che tutti i membri dell’aristocrazia che avessero mangiato carne sarebbero rimasti impuri e sarebbe stato loro proibito di partecipare ai riti shintoisti presso la corte imperiale. Proprio in questo periodo inoltre la classe aristocratica, trasferita la capitale imperiale a Kyoto, cominciò a sviluppare un gusto raffinato proprio, indipendente dall’influenza cinese, scoprendo e creando così una cucina giapponese dai sapori e dai gusti del tutto originali.Infatti l’antesignano del sushi nasce allora, e fu chiamato narezushi: consisteva nel conservare il pesce sotto il riso per un lungo periodo, addirittura 12 mesi, per permettere all’acido lattico prodotto dal cereale di dare al pesce un suo tipico sapore agrodolce. Intorno al XV secolo si comincerà a mangiare quello stesso riso insieme al pesce, ma bisognerà attendere il XIX secolo prima che il sushi che noi conosciamo faccia il suo definitivo ingresso sulle tavole nipponiche.

Fu invece dai Portoghesi che i Giapponesi appresero l’arte della frittura che dava al pesce quella patina croccante e leggera insieme, noto oramai universalmente come tenpura. La parola stessa sembra derivi dal portoghese “tempora”, ovvero i periodi in cui per motivi religiosi si era costretti a mangiare di magro, dunque pesce al posto di carne.Giungendo al XIX secolo, il consumo di carne ritrovò un forte impulso dovuto alla riapertura definitiva all’Occidente mentre, in particolare dal secondo dopoguerra, l’ingresso in Giappone attraverso gli Americani di sapori, gusti, ingredienti e sistemi di cottura e conservazione dei cibi moderni (come i surgelati e i vari liofilizzati) rivoluzioneranno le tradizionali tecniche culinarie, facendo però inorridire i puristi della cucina giapponese.
E’ pur vero che i Giapponesi però, pur rimanendo attenti alle novità provenienti dal mondo esterno, seppero adattare piatti e sapori diversi al loro gusto, e non contravvennero mai alla propria natura di profondi conservatori delle loro tradizioni gastronomiche. E’ proprio appunto in nome di quella tradizione che il pesce cucinato alla maniera giapponese, rimane, nelle sue innumerevoli ricette, il piatto principe e l’ingrediente insostituibile della cucina del Sol Levante.
Curiosità: i maggiori consumatori di pesce in Giappone sono gli abitanti di Okinawa, arcipelago delle Ryukyu, tra l’Oceano Pacifico ed il Mar della Cina. Questa abitudine, assieme ad altri fattori ambientali e caratteriali, pare essere, secondo accreditati scienziati e nutrizionisti, l’elemento basilare delle loro eccezionale longevità: media di vita 81,2 anni, la più alta del mondo. Già nota nelle antiche leggende cinesi come “la terra degli immortali”, Okinawa conta inoltre il numero di centenari ed ultracentenari più elevato del pianeta!

Loredana Marmorale

Per le foto: ventodoriente.forumfree.itbunnychan.it