LA SOIA SULLA TAVOLA GIAPPONESE

A differenza dell’Occidente, il Giappone ha una nobile tradizione culinaria che vede la soia protagonista di importanti piatti-base che cominciamo a conoscere da questo mese. Mentre in Europa infatti gran parte della soia viene utilizzata soprattutto per l’estrazione di olio o farina nella produzione di alimenti sostitutivi della carne tanto cari ai vegetariani, la cucina giapponese utilizza al meglio gli ingredienti che si ricavano dal seme o dal germoglio di questa pianta ricca di benefici.
Piatto tipico per eccellenza è la zuppa di miso (“misoshiru”).
Il miso è una miscela fermentata di semi di soia gialla, acqua, sale e riso oppure orzo: i fagioli vengono cotti e ad essi si aggiunge prima l’orzo o il riso e successivamente un particolare fungo, l’Aspergillus oryzae, in grado di intaccare gli amidi dei cereali e di trasformarli in zuccheri semplici. Nel procedimento tradizionale si trasferisce il composto in grandi tini, lo si pressa con appositi pesi e si porta avanti una lunga fermentazione in acqua salata (che dura dai 12 ai 24 mesi). Industrialmente, invece, la fermentazione si riduce anche a poche ore, così da rendere necessaria la pastorizzazione ed eventualmente l’aggiunta di additivi per la stabilizzazione del composto.
In Giappone il miso venne introdotto dai monaci buddisti intorno al settimo secolo. Il processo produttivo fu via via perfezionato e il miso divenne ben presto alimento molto importante nella dieta dei samurai. Nel corso dei secoli, nacquero diverse varianti di questo piatto, elaborate nelle varie province dell’Impero.

Nel misoshiru il miso viene mescolato con un brodo (“dashi”) a base di acqua, sale, porro e alga “konbu”. Il risultato è una gustosa pietanza, onnipresente sulle tavole del Sol Levante: viene servita a colazione, pranzo e cena ma è anche un’ottima entrée che, facilmente digeribile, prepara ad un pasto più o meno abbondante. La zuppa di miso è infatti consumata in qualsiasi occasione e, bisogna dire, in qualsiasi situazione climatica: va servita bollente anche nelle umide giornate estive!
Altro alimento tradizionale è il “nattō”, piatto a base di fagioli di soia fermentati. La fermentazione, prodotta da un particolare batterio (Bacillus subtilis), dà luogo ad una sostanza filamentosa molto consistente che si amalgama strettamente coi semi. A descrivere ciò, gli ideogrammi che rappresentano il nattō sono quelli simboleggianti “filo” e “fagiolo”.

La leggenda narra che il nattō nacque per caso. All’approssimarsi dell’esercito nemico, nell’epoca delle grandi battaglie intestine che caratterizzarono il lungo medioevo giapponese, i samurai del Kyushu dovettero smobilitare velocemente il loro campo. La soia, cibo dei cavalli, venne cotta rapidamente per poterla meglio conservare e avvolta in panni di paglia di riso. Dopo giorni di combattimento, quando ormai l’esercito aveva esaurito le provviste, i soldati si risolsero a nutrirsi di quella soia che nel frattempo, grazie ai batteri presenti nella paglia di riso, era diventata nattō.
Il nattō, grazie all’abbondanza di fermenti, ha un’importante funzione regolatrice sulla flora e sulle funzioni intestinali; ricco di proteine e fibre, migliora il sistema immunitario e aiuta a ridurre il colesterolo.
Questo piatto è gradevolissimo e si apprezza con una punta di senape e una goccia di salsa di soia. Può essere consumato anche con del riso (pure nei maki) o con uova (crude o fritte). Tuttavia non tutti i giapponesi amano questa pietanza dall’aspetto e dal sapore davvero particolare. Se si chiede infatti a un giapponese cui non piaccia il nattō che cosa ne pensi, con la tipica attenzione nipponica alla gentilezza, è probabile che risponda qualcosa come “kenko ni ii ne…” ossia ” fa bene alla salute…”!

Federica Cecconi

ALIMENTO E CONDIMENTO – LA SOIA PIÙ AMATA

Il tofu è probabilmente il piatto a base di soia più diffuso in Oriente ma è molto amato anche in Occidente. Fu introdotto in Giappone verso la fine del VII secolo, durante il periodo Nara, e si affermò in concomitanza con il Buddismo che sosteneva l’importanza di una dieta vegetariana. In effetti il tofu, privo di colesterolo e di grassi saturi ma ricco di proteine, calcio e fosforo è un ottimo sostituto di carne e uova.
Il “formaggio di soia” è il risultato della cagliatura del latte di soia (che si ottiene mediante l’ammollo, la frantumazione, la bollitura e la successiva essiccazione dei fagioli di soia) per mezzo di una polvere (nigari) composta di cloruro di magnesio, estratto dall’acqua marina evaporata dopo la rimozione del cloruro di sodio. Il caglio viene disciolto in acqua e mescolato nel latte di soia portato ad ebollizione, finché l’impasto non coagula in una forma morbida.

A seconda della quantità d’acqua che si estrae dalla cagliata, il tofu può risultare più liscio e delicato (kinugoshi) o più solido (momendofu): quest’ultimo, asciugato utilizzando un apposito tessuto filtrante e poi pressato nella tipica forma di parallelepipedo, viene solitamente tagliato a cubetti.
L’utilizzo di questi panetti di tofu in cucina è infinito: alla piastra, fritto, stufato, in insalata… Apporta ad ogni piatto non solo il proprio delicatissimo sapore, ma sprattutto un gioco di consistenze che è difficile immaginare utilizzando altri ingerdienti occidentali. Ecco perchè viene utilizzato spesso in preparazioni giapponesi molto comuni come la zuppa di miso: la cucina giapponese è infatti molto attenta agli equilibri di sapore, colore e consistenza di ogni piatto.

La versione più morbida, quasi cremosa, detta silken tofu, è anche molto adatta a sostituire panna o latte in frullati, dolci o vellutate di verdura. Esiste poi anche una varietà di tofu secco, pressato in fette lunghe e sottilissime, che viene cotto a fuoco lento in salsa di soia oppure viene sbriciolato e fritto nella tradizionale ricetta “aburage”. L’aburage si abbina anche al sushi (inarizushi) e alle verdure (ganmodoki), ed i giapponesi lo consumano molto spesso in una zuppa di udon detta kitsune udon”, cioè “gli udon della volpe”, nome legato ad un’antica leggenda che vuole le volpi molto golose di tofu fritto…
Il tofu può essere inoltre trovato in commercio in salamoia o aromatizzato. Il tofu in salamoia è usato comunemente in piccola quantità con verdure stufate tipo gli spinaci d’acqua e spesso viene direttamente usato come condimento nel riso.
Poco diffusi in Italia ma grandemente apprezzati in Giappone sono invece i tofu aromatizzati con ingredienti dolci, di consistenza generalmente più morbida, tipo il tofu all’arachide (jimami-dōfu), il tofu alla mandorla, il tofu al mango o il tofu al cocco, ottimi come dessert a sè, magari accompagnati da frutta o sciroppi, o come ingredienti per la preparazione di dolci più comlpessi. Per produrre questo tipo di tofu vengono miscelate nel latte di soia, prima della coagulazione, zucchero, frutta acida e aromatizzanti.
In molti piatti salati il tofu, come dicevamo derivato dalla soia, avendo un sapore aabbastanza eneutro vienespesso aromatizzato con salsa di soia, condimento diffusissimo ed efficacissimo nell’esaltare i sapori. Un esempio tipico del perfetto matrimonio tra questi due prodotti dall’origine in comune è l’hiyayakko, una praparazione estiva in cui il tofu viene servito freddissimo contornato di vari condimenti, comen zenzero fresco grattugiato, cipolle verdi e, appunto, salsa di soia.

La salsa di soia (shoyu), prodotta dalla fermentazione della soia e del grano, fu introdotta in Giappone alla fine del VII secolo ad opera dei monaci buddhisti, che all’interno della loro dieta rigorosamente vegetariana la utilizzavano per conferire ai cibi un aroma simile a quello della carne. Tra le qualità nutritive della salsa spiccano proprietà digestive e un contenuto di antiossidanti dieci volte maggiore rispetto a quello del vino rosso.
La salsa viene preparata cuocendo al vapore la soia, mescolandola a grano tostato, sale e fermenti e facendo riposare il composto per 18/36 mesi in botti di cedro. Infine si passa alla pressatura, pastorizzazione e filtrazione del composto. Esistono molte varietà di salse, a seconda delle proporzioni di soia e grano utilizzati o del tempo di fermentazione. La salsa giapponese più antica e famosa è la Tamari, prodotta principalmente nella regione del Chubu utilizzando una maggiore quantità di soia rispetto al grano.


Il risultato è comunque un liquido di colore brunastro e dal sapore terroso e salato, in parte dovuto al contenuto naturale di glutammato monosodico, ma così unico da dar luogo ad una definizione apposita di gusto: “umami”, che si va ad aggiungere alla classica ripartizione occidentale dei sapori in salato, dolce, aspro ed amaro come una quinta forma di gusto.
Utilizzata sia per aromatizzare il cibo durante la cottura sia servita a parte per essere aggiunta al cibo come condimento a sè, la salsa soia riesce ad integrarsi e completare in modo armonioso ed originali molti altri condimenti come aceto, zenzero, olio e sesamo, mentre è ingrediente base di molte altre salse fondamentali della cucina giapponese come la salsa teriyaki per verdure e carne alla piastra, la kabayaki, per pesce ed in particolare per l’anguilla, o la tentsuyu in cui si intinge il tenpura.
Insomma…la soia, che sia condimento o cibo, è ottima in tutte le sue forme!

Federica Cecconi

LA PREZIOSA SOIA

Un alimento base della cucina giapponese è la soia: la sua importanza è superata solo dal riso.
E come il riso ha un grande valore nutritivo cui anche in Occidente negli ultimi decenni viene sempre più attribuita rilevanza da tutti coloro che, oltre ad amare il gusto inconfondibile che questo ingrediente dà ai piatti, tengono alla propria salute!
La pianta di soia è invece nota in Oriente da molto tempo…le prime notizie si leggono in alcuni scritti cinesi del 3000 circa a.C. in cui si parla di un “enorme fagiolo” (ta-teou). Secondo alcuni studiosi però la soia era conosciuta ancor prima poichè se ne ritrova il riferimento in antichissime leggende. Un imperatore inserì addirittura la soia tra le cinque piante definite sacre per la loro importanza (riso, frumento, orzo e miglio le altre).
In Occidente fu introdotta nel XVIII secolo in Francia e nel XIX in Italia; la prima esportazione vera a propria avvenne però nel 1804, quando un veliero americano di rientro negli Stati Uniti ne trasportò un carico importante. La coltivazione per scopi commerciali risale al 1929 ma è dopo la seconda guerra mondiale che si ha la definitiva diffusione e un aumento generalizzato di consumo.

Tante virtù

La soia ha infatti il vantaggio di poter essere coltivata in tutti i climi temperati e subtropicali. I risultati migliori si ottengono dove l’estate è moderatamente calda, con temperature medie comprese tra i 20 °C e i 30 °C, ma temperature superiori vengono in ogni caso ben tollerate.
Il Glycine max, da non confondere con la soia selvatica (Glycine soja), è una pianta erbacea botanicamente appartenente alla famiglia delle leguminose, con baccelli simili a quelli del fagiolo. E’ una pianta annuale, con altezza minima di 20 centimetri e massima di 2 metri, con tipica peluria brunastra che ne ricopre baccello, fusto e foglie. Le radici, analogamente ad altre leguminose, ospitano un batterio simbionte, Bradyrhizobium japonicum, che opera la fissazione dell’azoto atmosferico, processo attraverso cui l’azoto dell’atmosfera viene convertito in composti essenziali per la crescita della pianta stessa. Le foglie sono trifogliate, lunghe dai 6 ai 15 cm e larghe 2/7 cm. I fiori sono bianchi, rosa o viola, riuniti in piccoli grappoli. I frutti sono i baccelli, lunghi 3/8 cm e contenenti solitamente da 2 a 4 semi dal diametro di 5/11 millimetri.
Si può dire che esistano due varietà di soia, in base ai semi che la pianta dà:

  • soia gialla: la più commercializzata
  • soia nera: quasi sconosciuta in Occidente, coltivata esclusivamente in Giappone.

La composizione dei semi di soia, di qualsiasi colore essi siano, differisce nettamente da quella degli altri legumi per il suo elevatissimo contenuto proteico.
Ma non solo: nel seme della soia sono racchiusi moltissimi elementi benefici per il nostro organismo. Per 100 grammi di soia abbiamo infatti, oltre a 40/50g di proteine, da 12 a 25 g di carboidrati, 10 g di fibre e 18/20 g di grassi polinsaturi essenziali, indispensabili veicoli delle vitamine liposolubili (A, D, E, K, F). La soia è inoltre ricca di vitamina A, E, B12, sali minerali, calcio, fosforo, potassio, magnesio, ferro, zinco…contiene poi la più alta concentrazione di aminoacidi essenziali e di estrogeni vegetali (isoflavoni).
Gli isoflavoni regolano naturalmente la produzione ormonale corporea bloccando anche la ricezione di estrogeni pericolosi e cancerogeni di origine chimica: aiutano così a proteggere dal rischio di tumori. Ancora, la soia è considerata un valido strumento per limitare il rischio di insorgenza di patologie cardiache, renali (migliora la funzione di filtro propria dei reni), muscolari, ossee e nervose.
Infine è ben noto l’effetto della lecitina, di cui la soia è ricca, sulla colesterolemia, in quanto aumenta il colesterolo HDL (cosiddetto “buono”) contrastando quindi gli effetti del colesterolo LDL (“cattivo”).

Insomma questa pianta è davvero una preziosa risorsa per la salute del nostro corpo e il suo seme è un ricco concentrato di sostanze benefiche e nutrienti, tanto che sono in commercio anche integratori ricostituenti a base di soia.
Non dimentichiamo però che il Glycine max è anche e soprattutto un interessante protagonista dell’arte culinaria giapponese: esso è perfetto nei molteplici usi e nelle tante squisite ricette di una tradizione millenaria che andremo presto a conoscere!

Federica Cecconi